ulech / troia

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Amani El Nasif e io abbiamo partecipato a Torino all’incontro Potere alla parola, pensato e realizzato da Se non ora quando Torino e Amnesty International,  condotto da Loredana Lipperini.

Abbiamo scelto una doppia parola, Ulech, come dicevano ad Amani in quel villaggio, in Siria, e Troia, come diciamo in Italia.

In questi mesi ho incontrato tanti ragazzi e tante ragazze nelle scuole, e Troia è ahinoi una parola che ricorre nel linguaggio quotidiano e inconsapevole che minimizza e sottovaluta il male che può fare la violenza verbale.

Che non è lontana come spesso si pensa dalla violenza dello stupro e del femminicidio.

Troia fa male.
Fa male a tutte le donne, fa male alle ragazze.
Le ragazze temono quella parola,  è il simbolo di un’umiliazione che ferisce, logora e incupisce.

“Se ti etichettano così, andare a scuola diventa un inferno”, quell’etichetta ti rimane appiccicata in fronte e cominci a credere di essere sbagliata.

Troia è una parola violenta, che non solo limita la nostra libertà sessuale, ma ci umilia, è un dito puntato sulla nostra intimità, un’intimità ai nostri occhi di donne a volte ancora sconosciuta.

Troia è una parola che porta con sè una colpa.
Una colpa che facciamo nostra.

Ulech! Gridavano ad Amani, perche non accettava la sottomissione, nè dell’anima nè del corpo.
Ma soprattutto perchè quel corpo voleva un altro uomo.
Quando ci dicono Troia, non disprezzano il sesso, ma condannano che nel sesso esprimiamo la nostra scelta, la nostra libertà, il nostro desiderio, il nostro piacere.

E questo accade in Siria come a Palermo, come a Torino. A 15 come a 40 anni, come a 70.

Magari tra adulti la parola troia si dice di meno, ma si pensa in egual misura.

Se un uomo ha una relazione al di fuori della sua relazione stabile, tra amiche e amici si parlerà di una sbandata, di un momento di debolezza. Figli e figlie ne soffriranno, ma si sforzeranno di accettarlo. La compagna ne soffrirà ma cercherà di capire, e probabilmente perdonerà. Magari partendo da sé, da ciò che avrebbe potuto fare od essere affinché ciò non accadesse.

Se una donna ha una relazione al di fuori della sua relazione stabile, amici e amiche difficilmente non cadranno nella tentazione del giudizio, per sentirsi migliori. Difficilmente si parlerà di una sbandata, piuttosto di una  rivelazione. Figli e figlie ne soffriranno, difficilmente lo accetteranno. Forse alzeranno uno scudo, uno scudo severo, che allontana, che infligge una ulteriore pena. Il compagno ne soffrirà, ma difficilmente si chiederà dove ha sbagliato, che cosa avrebbe potuto fare per non farlo accadere. Probabilmente si sentirà ferito nell’ orgoglio ancor prima che al cuore. E difficilmente perdonerà senza pretendere una lenta e logorante espiazione.

Anche per gli uomini c’è la disapprovazione, ma l’umiliazione è riservata a noi donne, a qualsiasi età e in qualsiasi contesto.

Se viviamo in un piccolo paese o in una cittadina di provincia, dove tutti e tutte si conoscono, almeno di vista,  andare al lavoro o a fare la spesa sarà come per una ragazzina andare a scuola, con l’etichetta che non ti si stacca di dosso.
E allora anche tu, donna adulta, cominci a credere di essere sbagliata.
Ma cosa c’è di sbagliato nell’essere una donna, una ragazza, che ama, che desidera, che sceglie?

Se questo è essere Troia, allora vorrei che fossimo tutte troie. Tanto quanto lo sono i maschi.
Perchè non poter essere prima di tutto persone?

A volte una parola è un patto non scritto, è una lama che separa.
Separa uomini e donne, separa donne tra le donne.

Troia è una parola degli uomini, di un certo tipo di uomini.
Davvero vogliamo continuare a dirci le cose a modo loro?

Proviamo ad inventarcelo un modo diverso.
Nelle cose che ci diciamo, in ciò che pensiamo, anche nelle cose che ci scriviamo in un sms, in un tweet, o sulla bacheca di facebook.
Non pensiamo che il mondo cambi se non cambiamo qualcosa partendo da noi.
E non diciamo ormai. Aboliamo anche la parola ORMAI dal nostro vocabolario. Noi possiamo cambiare, sempre.
Re-impariamo ad ascoltare le parole, ancor prima di pronunciarle.

Per questo mi è piaciuto molto partecipare e respirare quello che è stato Potere alla parola.

Perchè possiamo davvero farci meno male,
possiamo volerci più bene,
partendo dalle parole.

15 risposte a “ulech / troia

  1. ero, Cristina. Parole come “Ulech” (e la lista completa sarebbe lunga…) umiliano. E umiliano per fare male. Ma anche per zittire. Perché una persona offesa, in preda alla vergogna, si accuccia in un angolo e rimane in silenzio. Sperando di non essere più vista.

    • La parola puttana è utilizzato in ogni cultura come “stigma di genere”. L’antropologa Paola Tabet lo spiega molto bene nel suo libro “La grande beffa”. La parola troia o prostituta è uno strumento normativo che controlla la classe sociale femminile, uno strumento di imposizione e condizionamento della sessualità, un simbolo dei rapporti di potere presenti tra uomo e donna in ogni tempo e società.
      Ogni donna viene considerata una puttana nel momento in cui si emancipa dalle regole precostituite legate alla propria sessualità. Purtroppo però bisogna fare attenzione. La parola troia non è “una parola di certi tipi di uomini”. La parola troia è una parola che si fa portatrice di millenni di storia basata sulla concentrazione del potere in mano maschile e sull’unilateralità decisionale maschile all’interno dei rapporti sociali. Sono d’accordo sul fatto di partire (anche) dalle parole, ma cercando di essere ben consapevoli di ciò di cui stiamo parlando. Dico questo solo perché ho svolto tirocinio e tesi di laurea sulla prostituzione e mi sono resa conto di come ciò che viene denunciato spesso non è che la visione parziale di un fenomeno universale e millenario che tocca corde molto più profonde di quelle che vediamo. Ti ringrazio per l’articolo e per dare sempre possibilità di parola. 🙂

  2. Non vorrei sembrare superficiale… ma Troia è anche una stupenda cittadina in provincia di Foggia (per chi ha memoria era della Cattedrale di Troia il rosone della vecchia 5.000 lire). Come dire… con la speranza che Troia sia e rimanga solo una città… e nient’altro… le donne sono dono di Dio e chi le umilia, umilia Dio…

  3. Le parole sono macigni e quelle oscene chissà xchè sono il più delle volte indirizzate alle donne, ma quello che mi indigna sono le donne che le usano x altre donne. Ancora una volta trionfa la rivalità e questo fa gioco alla mentalità maschilista. Le donne devono imparare ad amarsi e a rispettarsi a vicenda. La lotta deve essere comune, quando i maschi offendono,stuprano, uccidono una donna lo fanno a tutte le donne.

  4. @Anonimo nonintendevo uomini solamente contemporanei, ma li comprendevo tutti, dai fondatori ai perpetuatori. uomini che gestiscono il potere, le redini, influenzando le culture come le singole vite. grazie per l’approfondimento. e come dice crozza, deperpetuarizziamoci!

  5. io non abolirei nessuna parola, nemmeno quelle nate come offensive..bisogna rispondere a tono, mostrare che quella parola non intimorisce

  6. grazie per questo post. Un giorno ho sentito proprio mia figlia usare questa parola in relazione ad alcune ragazze della sua scuola! Ne sono rimasta scioccata! E ho argomentato con lei (fino allo sfinimento di entrambe devo dire) contro quest’uso, proprio in nome di quello che tu hai scritto. Il problema è che per lei era ‘solo una parola’ – e non è così – le parole sono pietre e macigni. Ma il fatto che una ragazzina adolescente, figlia di una madre che si è sempre ritenuta femminista, abbia introiettato l’uso di questo termine dimostra la potenza dei condizionamenti culturali a cui i ragazzi e le ragazze sono esposti/e nel gruppo dei pari…

    • però non possiamo neanche tenere i figli in una campana di vetro per non fargli venire a contatto con certe parole..queste parole esistono prima o poi le impareranno.meglio che sappiano cosa significano e come cambiano a seconda dei contesti e delle intenzioni di chi le usa..anche per difendersi da chi le usa per offendere

  7. Spaventosa l’incoscienza con la quale si buttano lì (addosso) certe parole, tremendi gli effetti, raccapricciante il livello di condizionamento culturale ed affettivo che ne rivela e ne approfondisce il farle proprie. Se non c’è un grosso sforzo comune certi muri sarà difficile abbatterli e dare spazio a scelte di sensibilià, nuove soluzioni, sane realizzazioni delle aspettative e del se.
    Vorrei linkare questa pagina sul mio blog. Grazie.

  8. Mi piace che si apra una discussione sul valore delle parole. Spesso si usano inconsapevolmente creando così difficoltà, dolore e vergogna. Io provengo da una famiglia normale dove non si parlava di sessualità o violenza sulle donne eppure sono cresciuta con la consapevolezza che dentro di me coesistessero parti ben organizzate e sane e parti che dovevano essere tenute a bada perchè come dire la società le considerava “sporche”. Quindi crescevi cercando di maturare una consapevolezza tua interna che certo non combaciava con un mondo esterno “altamente maschile” di predominio. La parola Troia provoca una lacerazione nelle donne perchè è sempre stata legata ad un giudizio
    maschile sulla sessualità, diciamo anche che esistono pochi uomini “rari” che comprendono la necessità di utilizzare nella propria vita la loro parte femminile. Penso che sia importante parlarne, apertamente, senza giudizi, insegnando ai nostri figli il valore intrinseco delle parole….utilizzando anche l’esempio quotidiano e ricordando soprattutto che alcune regole vanno sempre rispettate perchè i comportamenti negativi nascono anche dalla confusione dei ruoli e dalle dinamiche contorte. Con questi pensieri volevo ringraziare Cristina per il coraggio che ogni volta mette a disposizione di tutti….il coraggio che a volte manca per guardare ciò che accade spesso accanto a noi e che non ci permette di fare il passo successivo…ma che ci fa diventare di pietra.

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